Sottopagina – Gabbie e identità secondo Pirandello 

Nel momento in cui sto scrivendo questo articolo è sera, mi ritrovo senza uno straccio di idea sull’articolo da pubblicare l’indomani (maledetta procrastinazione!) e sempre l’indomani la sottoscritta dovrà affrontare un’interrogazione di letteratura italiana sul Decadentismo. I sensi di colpa per aver abusato di Book Tag mi affliggono, quindi valuto le varie opzioni: Sottopagina… Sottopagina… Sottopagina… Mi sa che preparerò un Sottopagina. Ok. Sto leggendo “Il fu Mattia Pascal”, di Luigi Pirandello, quindi ho deciso che dovrete sorbirvi una lezione sui concetti pirandelliani di gabbia e  identità (almeno ripasso per l’interrogazione e mi tolgo la sensazione di un errato utilizzo del mio tempo). Ma non preoccupatevi, è piuttosto breve!


Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de’ miei amici o conoscenti dimostrava d’aver perduto il senno fino al punto di venire da me per qualche consiglio o suggerimento, mi stringevo nelle spalle, socchiudevo gli occhi e gli rispondevo:

― Io mi chiamo Mattia Pascal.

― Grazie, caro. Questo lo so.

― E ti par poco?

Non pareva molto, per dir la verità, neanche a me. Ma ignoravo allora che cosa volesse dire il non sapere neppur questo, il non poter più rispondere, cioè, come prima, all’occorrenza:

― Io mi chiamo Mattia Pascal.


Da quando Mattia Pascal ha sposato Romilda Malagna, la sua vita è diventata un inferno. Tra la suocera che maltratta sua madre, la moglie devastata dalla gravidanza e l’amministratore Batta Malagna che gli usurpa il poco patrimonio rimasto, Mattia si ritrova a vivere una situazione di oppressione e asfissia dalla quale non può fuggire: deve infatti prendersi cura della famiglia e, per guadagnare qualche lira, accetta di lavorare presso una squallida biblioteca. Pirandello definisce “gabbia” una condizione di impotenza assimilabile a quella del protagonista, chiuso tra queste metaforiche sbarre senza una prospettiva di miglioramento.

Le gabbie identificate dall’autore sono due:

  • quella familiare, di cui è vittima Mattia
  • quella lavorativa, tipica di chi svolge mansioni da impiegato ed è quindi sottoposto a una costante monotonia e meccanicità di gesti che lo conduce inevitabilmente in uno stato di alienazione

L’occasione di evasione dalla gabbia si presenta inaspettatamente quando Mattia vince un ingente somma di denaro presso il casinò di Montecarlo, e quando successivamente apprende dal giornale che la moglie ha identificato lui in un cadavere ritrovato. Mattia decide quindi di cogliere la palla al balzo e si costruisce una nuova vita sotto lo pseudonimo di “Adriano Meis”..

Mattia/Adriano si rende però ben presto conto che l’identità falsa non gli permette di avere amici o stringere relazioni, non può nemmeno comprarsi un cane e si riduce quindi a colloquiare con un canarino. La nostalgia della gabbia familiare diventa talmente tanto forte da convincere Mattia/Adriano a simulare il suicidio di Adriano, liberandosi così da tale maschera e apprestandosi a ritornare nel paese natio.
Tuttavia, nessuno riconosce Mattia in quanto cambiato totalmente d’aspetto per assumere l’identità di Adriano. Come se non bastasse, la moglie ha un nuovo marito. Mattia si ritrova quindi a non possedere più un’identità: non è Mattia Pascal perché nessuno lo riconosce come tale, non è Adriano perché si è suicidato, subisce allora un’ultima trasformazione e diventa “Il fu Mattia Pascal”.

Dove ci porta tutto ‘sto papiro? Alla morale che, sebbene chiuderci in un’identità ci costringa ad accettare i ruoli a essa connessi e a sottostare a delle precise condizioni, vivere senza un’identità è impossibile.


E voi cosa ne pensate? Siete d’accordo con Pirandello?

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